Sull’intero globo sembra che 1 ogni 100 abitanti sia celiaco; in Italia ve ne sono oltre 200.000 accertati e negli ultimi due anni sono cresciuti al ritmo di 15%. Come se non bastasse, almeno altri 500.000 si stima non sappiano nemmeno di essere intolleranti al glutine.
La consapevolezza di doversi confrontare con questa realtà è tale che, sul territorio, il numero delle strutture di ristorazione in cui un celiaco può sentirsi tranquillo sono in forte espansione (tra 1.200 e 1.500). In realtà sono moltissimi i ristoranti che segnalano le intolleranze sul menù, come del resto le indicazioni sulle confezioni di buona parte dei prodotti alimentari. Perché allora un celiaco dovrebbe porsi dei dubbi? Perchè credere ciecamente a un’etichetta o a un menù potrebbe essere rischioso e nell’incertezza preferisce rinunciare.
Da qualche tempo, negli Stati Uniti, è disponibile Nima, un tester portatile per analizzare piccoli frammenti di cibo e restituire in tre minuti il responso sulla presenza o meno di glutine. Si compone di due parti: una capsula che fa da contenitore del campione di cibo e il vero e proprio sensore, che essendo delle dimensioni di una decina di centimetri può essere facilmente trasportato in una borsa.
Una volta inserito nella capsula se ne avvita il coperchio, il pezzetto ci cibo delle dimensioni di un pisello viene triturato e aggiunto alla soluzione presente nel contenitore provocando una reazione su una striscia-test (come per i test di gravidanza). A questo punto la striscia è interpretata dal sensore che dopo tre minuti risponde dal suo display: se la faccina ride vi sono meno di 20 parti per milione di glutine, se la quantità è superiore compare invece una spiga.
Il sensore comunica via Bluetooth con un App e ogni volta che viene eseguito un test si può visualizzare sullo smartphone il risultato e aggiungere informazioni su dove, cosa e come è stato eseguito. Tutte queste informazioni vengono raccolte in un archivio che la comunità degli utenti utilizza per decidere se frequentare un ristorante o ingerire un prodotto alimentare che non conosce.
Prima di inneggiare al miracolo occorrono due precisazioni. La prima è relativa all’affidabilità del test, che è assodata, ma riguarda solo il campione analizzato ed è impossibile assicurare che nel resto del cibo non vi sia una contaminazione. Il secondo rilievo relativo ai costi. Le capsule non si possono riutilizzare per ovvi motivi, e negli USA il set di 12 costa 60$, mentre il sensore col kit di 3 capsule costa 249$.
Resta però la convinzione che la tecnologia applicata alla salute è approdata a livello dell’individuo e questo non può che migliorare il suo stile di vita.